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sabato 21 gennaio 2012

Sistema elettorale e democrazia

La forma repubblicana è costituzionalmente garantita nel nostro bel Paese e non può essere oggetto di revisione costituzionale (art. cost. 139). Tuttavia è facile dimostrare come cambiare la legge elettorale possa notevolmente incidere positivamente o negativamente sull'assetto democratico di un Paese. Dopo la seconda guerra mondiale la società italiana era attraversata da profonde fratture ed aveva un sistema politico fortemente polarizzato dal punto di vista ideologico. Questo ha determinato la scelta di un sistema proporzionale “puro” per l'elezione delle due Camere del Parlamento, teso a riportare ai vertici una fotografia politica del Paese il più possibile vicina alla realtà. In questo modo se da un lato si è garantita la sopravvivenza di tutte le forze politiche dello scenario italiano dal dopoguerra sino al 1993, dall'altro lato il sistema proporzionale ha favorito la politica del così detto “parlamentarismo compromissorio” teso al dialogo, agli accordi ma anche agli altarini politici. Nel '93, però, il referendum elettorale che fino al 12 e 13 giugno dell'anno scorso è stato quello con la più elevata percentuale di sì dell'intera storia dei referendum in Italia (oltre l'80%), ha spostato l'assetto democratico del Paese verso un senso prevalentemente maggioritario-uninominale per quanto riguarda il Senato. Nonostante il parere popolare sia apparso evidente dall'esito del referendum, i dissidi interni ai partiti tradizionali della democrazia italiana hanno fatto sì che il Parlamento incontrò grosse difficoltà nell'approvare una riforma elettorale che meglio rispecchiasse la volontà degli italiani.
Nel 2005 con l'avvento del berlusconismo la politica italiana ha spostato il suo assetto sul bipartitismo e bipolarismo, facendo del carisma e la leadership delle personalità politiche il primo motore della politica italiana. Tutto questo ha portato, oltre che al trionfo del grigiore politico, all'ideazione di un sistema elettorale di tipo maggioritario applicato per la prima volta nelle elezioni dell'aprile del 2006, in cui è venuta significativamente meno la scelta delle preferenze del candidato per la Camera. Così, i parlamentari ora risultano eletti sulla base dell'ordine stabilito dai partiti al momento della presentazione della lista. In soldoni cosa significa questo? Che i partiti hanno una capacità decisionale diretta sull'elezione dei propri candidati preferiti che, collocati ai primi posti nella lista, hanno maggiori possibilità di essere eletti anche se magari gli elettori, qualora avessero avuto la possibilità di votare un candidato, non li avrebbero votati. Questa nuova legge elettorale venne giustificata dal Governo in carica in vari modi: dall'incapacità naturale della massa votante di saper scegliere il candidato migliore alla difficoltà da parte della componente semianalfabeta ed anziana del Paese (quest'ultima in costante aumento) di scrivere correttamente e votare il candidato voluto, senza annullare la scheda elettorale. Fatto sta che in questo modo si genera un ulteriore filtro, rappresentato dalla volontà partitica, determinante per la rappresentanza alla Camera, che va a modificare sensibilmente l'assetto repubblicano e democratico del Paese. Con questa legge elettorale difatti non esiste più una sola democrazia all'interno del Paese, ma tante democrazie quante sono le organizzazioni politiche in corsa all'elezione del proprio candidato alla Camera dei deputati: ogni partito ha uno Statuto che organizza la vita e l'assetto democratico del partito, con i vari organi, le nomine e gli incarichi partitici, Statuto che con la nuova legge elettorale diventa fondamentale per la scelta dell'ordine dei candidati. Questo ha due conseguenze: la prima, a carattere prettamente lobbistico, riguarda le incredibili pressioni fatte dalle correnti interne al partito per piazzare il proprio candidato ai vertici della lista (e la forza delle pressioni può essere tale da far si che la lista non venga presentata in tempo dal partito, come è successo al PdL nel Lazio per le regionali del 2010); una seconda conseguenza, invece, ha portato ad un allontanamento dei cittadini dalle istituzioni e dai partiti, concludendo un processo iniziato molti decenni addietro.
Diceva infatti Berlinguer: “I partiti sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune”. E ancora: “I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la RAI, alcuni grandi giornali”. Con la dissoluzione del PCI che, attraverso la questione morale portata avanti da Berlinguer, era l'unica organizzazione politica che quantomeno criticasse il così detto spoyler sistem e la ben più grave degenerazione dei partiti in “macchine di potere” al servizio del potere, i cittadini negli ultimi decenni hanno perso una consistente fetta dei loro diritti, di fatto svuotati dall'interno, fino ad essere esclusi sempre di più non solo dalle istituzioni, ma anche dalla democrazia partecipativa e dal processo selettivo della classe dirigente, che mai come oggi è stata così lontana dall'essere la parte migliore del Paese.

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